Pedagogia del dolore

Pedagogia del dolore

Pur di scongiurare la sofferenza, si preferisce cancellarne ogni traccia, come fosse un difetto da estirpare. Questo atteggiamento ha tuttavia conseguenze profonde sugli adolescenti, che proprio nella fase più delicata della loro crescita si trovano a fare i conti con emozioni intense, contraddizioni interiori e inevitabili momenti di crisi. Quando il dolore irrompe – e, com’è naturale, prima o poi accade – molti ragazzi non sanno come gestirlo, perché non hanno mai avuto l’opportunità di imparare a stare in quella dimensione di difficoltà.
Nel tentativo di offrire costantemente protezione, o nell’illusione di costruire un mondo “a prova di lacrime”, rischiamo di privare gli adolescenti di un aspetto cruciale: la capacità di affrontare il disagio interiore, di dare un significato al proprio dolore e di trasformarlo in crescita. Così, di fronte a un tradimento, a una perdita, a un insuccesso scolastico o alla complessità dei rapporti familiari, i giovani possono sperimentare un senso di disperazione che li coglie alla sprovvista. Non solo il dolore è nuovo e intenso, ma non esistono per loro modelli interiorizzati né strumenti adeguati per comprenderlo e gestirlo.
Il risultato? Molti adolescenti finiscono col sentirsi sopraffatti da un vuoto che la società, con le sue promesse di immediata felicità, non li ha preparati a colmare. Eppure, proprio nel periodo dell’adolescenza, la sofferenza diventa talvolta un segnale prezioso: indica l’urgenza di scoprire chi si è davvero, di dare forma alla propria identità, di imparare a resistere alla fragilità del vivere. Se abbiamo il coraggio di riconoscere il dolore come parte integrante dell’esperienza umana, possiamo aiutarli a riconoscerlo, a esprimerlo e a utilizzarlo come occasione di crescita.
Nel pensiero di Kierkegaard, ad esempio, il dolore è visto come un momento essenziale per la costruzione del senso. L’esistenza autentica nasce dal confronto con l’angoscia, quella vertigine che ci sprona a cercare una verità più profonda, al di là delle certezze superficiali. Il dolore, quindi, non è solo il segno di una mancanza, ma anche il segno della nostra ricerca, della nostra apertura a una dimensione che va oltre il semplice “essere felici” per mezzo di un soddisfacimento immediato e privo di consapevolezza.
“Voi avrete tribolazione nel mondo, ma abbiate fiducia; io ho vinto il mondo” Gv 16, 33


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